Di Aids si continua a morire, eppure molti giovani sono ancora completamente all’oscuro delle caratteristiche e dei rischi di questa malattia. È senza dubbio questo il dato più sconcertante emerso dall’incontro organizzato in occasione della cerimonia conclusiva del premio giornalistico intitolato a Riccardo Tomassetti, giornalista scientifico scomparso nel 2007 a 39 anni, che ha dedicato gran parte della propria attività alla divulgazione sul tema dell’Hiv. Nel corso dell’incontro, cui hanno partecipato associazioni impegnate nella lotta all’Aids, esperti e giornalisti, sono stati presentati i risultati di una ricerca che analizza la percezione del virus da parte degli utenti che si scambiano informazioni sulla rete attraverso blog e forum. I dati sono significativi: su circa 4100 messaggi dedicati alla malattia nel periodo preso in esame la maggioranza è concentrata nei forum delle associazioni, mentre solo una piccola parte è presente nei blog, spazi di conversazione meno “specializzati”. Su Internet, inoltre, l’Aids è citato molto meno rispetto, ad esempio, al cancro: in rapporto ai 3500 messaggi dedicati al cancro, sono solo 600 quelli che trattano di Aids-Hiv. “Questo significa – ha spiegato Cristina Cenci, antropologa e coordinatrice della ricerca – che in generale nel Web 2.0 l’Aids non emerge né come tema di attualità né come area di allarme sociale intorno alla salute. Non si parla di Aids perché si assume che rientri nella responsabilità del singolo e non della collettività”. Nonostante in Italia ogni giorno 11 persone si infettano con l’Hiv e sono almeno 40mila le persone sieropositive che non sanno di esserlo, il virus viene visto come qualcosa di estraneo e lontano, relegato ai paesi sottosviluppati o comunque associato esclusivamente a comportamenti “a rischio”, come lo scambio di siringhe infette o i rapporti omosessuali. Perché oggi ci si trova in questa situazione? Stefano Vella, direttore dell’istituto superiore di sanità di Roma, ha provato a fare il punto: “Una delle ragioni è il pensare che ormai, vista l’efficacia delle nuove combinazioni di farmaci, ci si trovi di fronte a una malattia ‘curabile’ e meno ‘drammatica’. In parte è vero, ma bisogna tenere alto il livello di guardia perché la terapia, anche se oggi più facile da prendere e meno tossica, è comunque complessa e va portata avanti per tutta la vita. È necessario continuare a tenere i riflettori accesi sull’Aids perché la malattia è ancora molto diffusa e perché la fascia maggiormente a rischio è quella dei giovani, e cioè il futuro di tutti noi”. È evidente che un ruolo di primo piano deve essere svolto dai mezzi di comunicazione, spesso sul banco degli imputati con l’accusa di fare “cattiva” informazione o di non farla affatto. Non in tutti casi, però: per questo motivo si è deciso di istituire un riconoscimento destinato ai giovani giornalisti che hanno avuto il merito di mantenere viva l’attenzione sul tema attraverso servizi per carta stampata, radiotelevisione e web e, dalla prossima edizione, anche blog e social network. Per la prima edizione del premio una giuria di giornalisti ha esaminato oltre 500 servizi, tutti, a detta dei membri, “di altissima qualità”: la dimostrazione che la corretta informazione può e deve fare molto per migliorare la conoscenza della malattia ed evitare, così, l’aumento della diffusione e le diagnosi tardive.
CHIARA DEL PRIORE
(LUMSA NEWS)
Saturday, December 06, 2008
Thursday, November 13, 2008
Collaborare per la pace ne l nome di Dio/
ROMA- Sono trascorsi poco più di due anni da quando Papa Benedetto XVI, nel corso del suo viaggio in Baviera, pronunciava l’ormai celebre “discorso di Ratisbona”. La citazione fatta dal Pontefice durante la sua Lectio Magistralis all’Università tedesca, attribuita all’imperatore bizantino Manuele II Paleologo, assediato dagli Ottomani a Costantinopoli durante la guerra santa, fu oggetto di un’aspra controversia con l’Islam. La frase in cui si affermava che “Maometto avrebbe portato solo cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada ciò che egli predicava”, anche se spesso estrapolata dal suo contesto ed enfatizzata dai media, causò indignazione tra i musulmani, cui seguirono polemiche e forti proteste di piazza. Da allora il tentativo di ricucire i già fragili rapporti tra le due religioni è passato attraverso varie proposte di dialogo, tra cui la lettera (dal titolo “Una parola comune tra noi e voi”) indirizzata lo scorso anno da 138 personalità musulmane al Papa e ai capi religiosi cristiani, dove emergeva l’esigenza di un confronto universale. Esigenza che si è concretizzata nel primo Forum cattolico-musulmano, organizzato a Roma dal Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, in cui 29 esponenti cattolici e altrettanti musulmani hanno discusso sul tema “Amore di Dio, amore del prossimo”. È stato proprio il dialogo, inteso come “atteggiamento umile” nei confronti dell’altro, a fare da padrone nell’incontro interreligioso. Ad affermarlo nella conferenza conclusiva, davanti a una vasta platea di studiosi e giornalisti, è stato il professor Joseph Maila, rettore dell’ “Institut Catholique de Paris”, portavoce della parte cattolica: “Il dialogo – ha spiegato – non è uno scambio di convenevoli, ma di convincimenti. Lo spirito che lo ha caratterizzato in questi due giorni non è stato quello di uno scetticismo reciproco che spesso lo contraddistingue, né quello di un consenso puramente superficiale, ma una predisposizione che porta ad accostarsi con umiltà alle convinzioni di chi è di fronte a noi”. Obiettivo non sempre facile, soprattutto alla luce dei pregiudizi reciproci ancora presenti in alcuni esponenti delle due religioni: “Quella del dialogo – ha affermato Ingrid Mattson, presidente della Società Islamica del Nord America – è per entrambi una grande sfida. Ci sono musulmani e cristiani che non volevano ci riunissimo qui perché molte volte prevale la paura di comunicare con l’altro. Allo stesso tempo, l’iniziativa del dialogo è sorta come una necessità, in quanto la religione è ormai troppo spesso fonte di conflitti. Da qui l’esigenza di incontrarci per trovare delle soluzioni comuni”. Se la lettera inviata dagli esperti musulmani ai cristiani si limitava a individuare gli elementi comuni ai due testi sacri fondamentali, la Bibbia e il Corano, il seminario è andato oltre, individuando dei principi universali, a partire da un fondamento imprescindibile: Dio è amore e il suo amore si esplicita innanzitutto nel rapporto con il prossimo. Pilastro, questo, da cui derivano tutti i punti programmatici della Dichiarazione presentata al termine dei lavori del Forum: tra questi il rispetto per la vita umana, la tutela delle minoranze e l’impegno contro il terrorismo. “La vita umana – si legge al secondo e al terzo punto del documento – è un dono preziosissimo di Dio a ogni persona e la persona esige il rispetto della sua dignità originaria e della sua vocazione umana”; da qui l’importanza di tutelare, sulla base del rispetto per l’altro, che “include il diritto di individui e comunità a praticare la propria religione in pubblico e in privato”, le minoranze religiose: “Le minoranze religiose – si legge al punto numero 6 – hanno il diritto di essere rispettate nelle proprie convinzioni e pratiche religiose e hanno diritto ai propri luoghi di culto”; un tema, questo, enormemente dibattuto nel corso dell’incontro, anche alla luce delle persecuzioni di cristiani e musulmani laddove le loro religioni sono minoritarie: “I rapporti tra cattolici e musulmani – ha spiegato il cardinale Jean-Louis Turan, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso – dipendono molto dalle circostanze politiche in cui l’Islam è religione maggioritaria, provocando spesso tensioni che poi si riflettono sulle minoranze cristiane nei Paesi islamici”.
Tensioni che sempre più di frequente sfociano in atti terroristici: “Professiamo – afferma l’undicesimo punto della dichiarazione – che cattolici e musulmani sono chiamati a essere strumenti di amore e di armonia tra i credenti e per tutta l’umanità, rinunciando a qualsiasi oppressione, violenza aggressiva e atti terroristici, in particolare quelli perpetrati in nome della religione”. Parole, queste, che suonano insolite a chi quotidianamente ascolta di continui attentati di stampo religioso, nonostante i musulmani affermino più volte di respingere ogni danno fatto ai cristiani e da parte cristiana continuino ad arrivare toni concilianti nel tentativo di fare del mondo, come afferma il cardinale Turan, “non una giungla ma una famiglia”. L’impressione è che, per ora, si sia giunti a un accordo prevalentemente sul piano etico e della giustizia, piuttosto che su quello strettamente teologico, su cui rimangono differenze che attualmente appaiono insormontabili. Oggi c’è ancora una frattura: da un lato parole rassicuranti e buone intenzioni, come la volontà di approfondire questi temi in un altro incontro da organizzare in un Paese a maggioranza musulmana. Dall’altro la realtà dei fatti, tra cui le continue invocazioni di chi intende far sentire la propria voce per combattere contro le violazioni della libertà religiosa. È di questi giorni la notizia che un gruppo di 144 cristiani, tra cui 77 musulmani convertiti, ha lanciato un appello affinché non si dimentichino le minoranze cristiane e i neo-convertiti nei Paesi islamici. Tra le richieste dei firmatari che la legge islamica non si applichi ai non musulmani, che sia abolita la loro condizione di dimmi, cioè di cittadini di seconda classe, che la libertà di cambiare religione sia riconosciuta come diritto fondamentale.
CHIARA DEL PRIORE(LUMSA NEWS)
Tuesday, October 21, 2008
Inchiesta sul cristianesimo:la verità oltre la fede
ROMA- Separare la verità storica dalle convinzioni che da sempre accompagnano una religione non è facile. Soprattutto se essa sopravvive da oltre venti secoli ed è ancora oggi la più diffusa al mondo. “Inchiesta sul cristianesimo”, ultimo libro del giornalista e scrittore Corrado Augias, rappresenta il tentativo di ripercorrere la nascita e l’evoluzione della religione di Gesù a partire dalle fonti disponibili, per distruggere, come afferma l’autore, le “favolette” radicate da anni nell’opinione collettiva. Il risultato, un dialogo tra il giornalista e il docente e storico della religione cristiana Remo Cacitti, ci dà un’immagine del cristianesimo completamente diversa da quella diffusa dalla Chiesa e supportata in maniera acritica dalla maggior parte dei mezzi di informazione, a partire dalle origini. Per molti studiosi, infatti, esso non è la religione di Gesù, ma il suo vero fondatore sarebbe Paolo, che ebbe il merito di trasformare una corrente del giudaismo in un culto autonomo, da lui poi diffuso nel mondo. Così come, in origine, non si poteva parlare di un’unica religione:esistevano, cioè, più “cristianesimi”, di cui uno solo avrebbe trionfato, consolidato dall’opera politica dapprima dell’imperatore Costantino, che nel 313 riconobbe la libertà di culto, e, poi, dell’imperatore Teodosio, che ne fece la religione di Stato nel 380.
Figure come quelle di Paolo e Costantino furono, secondo Augias, decisive per l’affermazione della religione, in cui il potere politico giocò un ruolo determinante: ”Nel IV secolo – ha affermato – ci fu uno stretto legame tra religione e politica, poiché il cristianesimo era considerato a quel tempo un potente strumento di attrattiva per ricompattare l’impero”.
A essere messe in discussione non sono solo le origini della fede cristiana, ma anche alcuni suoi aspetti fondamentali: ”Inchiesta sul cristianesimo” ricorda, tra l’altro, che quasi sicuramente Gesù non affidò alcuna missione universale agli apostoli, che probabilmente Pietro non venne mai a Roma, e che il pantheon romano, formato da tante divinità ognuna con un proprio compito, venne poi ripreso dalla Chiesa con il culto dei santi. O anche che un’istituzione come il celibato ecclesiastico, come si legge nel libro, “è il portato di una tradizione senza alcun fondamento biblico né dottrinale”.
La conversazione tra il giornalista che vuole “ricostruire storicamente” la religione, come si è definito Augias nel corso dell’incontro, e lo studioso del cristianesimo tocca anche punti da secoli dibattuti dalla Chiesa, dalla natura del peccato originale al problema dell’eternità di Cristo, fino alla sua resurrezione. Gesù, in quanto nato da un padre, può essere ritenuto eterno? La resurrezione si riferisce a un cadavere sepolto e ritornato in vita oppure si può parlare solo di un sepolcro vuoto, e quindi di una presenza puramente mistica?
Temi come questi contribuiscono a rafforzare le convinzioni dei più diffidenti e a stimolare l’interesse di chi guarda alla religione con “gli strumenti della ragione” , ma allo stesso tempo per un cattolico, cresciuto con gli insegnamenti del catechismo della Chiesa, sono certamente più difficili da accettare. Da anni la religione è oggetto di battaglie, spesso dure, che contrappongono scettici e credenti, ragione e fede. Se è lecito cercare di spiegarla da una prospettiva “razionale”, lo è anche chiedersi fino a che punto sia indispensabile ricostruirne ogni minimo aspetto senza lasciare spazio al mistero e all’inspiegabilità che le appartengono per natura.
CHIARA DEL PRIORE (LUMSANEWS)
Saturday, September 27, 2008
"Donne picchiate si ribellano",il coraggio di dire basta
24 SET - ''Chi ha detto che il tempo guarisce tutte le ferite? Alcune rimangono indelebili''. Martine ha 45 anni e alle spalle una vicenda di maltrattamenti finita in tribunale. Parole come queste non nascondono anni di sofferenza, ma la sua storia dimostra che si può trovare il coraggio di dire basta, a patto che lo si voglia davvero. Il nuovo libro di Aldo Rocco ''Donne picchiate si ribellano'', seconda parte di un'inchiesta iniziata dall'autore con ''Perché gli uomini picchiano le donne'', e' il racconto di mogli, madri, compagne che, come lei, hanno deciso di combattere la violenza fisica e psicologica subita dai partner e di percorrere una nuova strada.
Nove testimonianze di donne di classi e Paesi diversi, unite da lividi e percosse, ma soprattutto da dolore, vergogna, umiliazione. Tutte hanno saputo, però, fare i conti con il passato, trasformandosi da vittime a protagoniste della propria vita.
Da Martine a Leila, arrivata da clandestina in Italia e costretta a prostituirsi dal marito Murad, ''incastrato'' grazie al suo coraggio e all'aiuto di Paolo, un avvocato che ha dato a lei e alle sue tre figlie la possibilità di una vita migliore. A chi ha tagliato in maniera netta i ponti con il passato si affianca chi ha cercato di superarlo restando vicino all'uomo di cui era stata vittima.
E' il caso di Annunziata, che ha vissuto un'esistenza all'insegna della violenza e dei crimini commessi dal marito Pasqualone, ora a scontare sette anni per rapina, ma convinta che, con il carcere, ''le cose andranno meglio''. Oppure di Maddalena e Angelo, che, con il dialogo, sono riusciti a superare un passato di abusi ed eccessi, perché ''se c'e' amore una donna supera tutto per il suo uomo''. Una normalità a suo modo e' riuscita a recuperarla anche Raja, che, dopo le violenze subite dal marito Jussuf e la scoperta del suo vero orientamento sessuale, ha ricostruito con serenità vera o apparente il proprio nucleo familiare, fingendo di dimenticare la ''vera'' vita del marito.
Per affetto dei figli, per amore, spesso solo per concedere un’altra possibilità (“questo perché – afferma Mary – noi donne stimiamo gli uomini più di quanto meritino”):non è importante il motivo per cui si sceglie di dimenticare e andare avanti, ma la dignità con cui ognuna di queste donne ha saputo farlo.
Thursday, September 18, 2008
LA GUERRA DELLA TOPONOMASTICA, DA GRAMSCI ALLA MAFIA
ROMA, 18 SET - La "guerra della toponomastica" si
arricchisce di un nuovo episodio. A Cento, nel ferrarese, la
giunta di centrodestra (che già aveva tentato di intitolare una
via al gerarca fascista Igino Ghisellini) ha approvato un ordine
del giorno che mette al bando strade e piazze intitolate a
personaggi riconducibili al comunismo. A farne le spese
(scatenando inevitabili polemiche), l'unica via della città che
rientra in questa casistica: via Gramsci.
Sulla memoria si combatte da anni, in provincia e nelle
metropoli, da nord a sud. A Roma - la battaglia si è riaccesa
con l'elezione a sindaco di Gianni Alemanno - lo scontro è
sull'opportunità di intitolare una strada a Giorgio Almirante,
leader storico della destra italiana, ma anche direttore della
rivista "La difesa della razza" durante il Ventennio.
Dibattito acceso per la scelta di rendere omaggio a un
protagonista del periodo fascista anche a Verona, nell'agosto
scorso, dopo l'intitolazione di una strada a Stefano Rizzardi,
un volontario della Repubblica di Salò. Del resto anche nella
meno sospettabile Ravenna, una circoscrizione ha deciso,
all'unanimità, di dedicare una via o una piazza al primo
podestà della città, Celso Calvetti. A metà degli anni '90,
l'allora sindaco di Latina Ajmone Finestra (An) decise di
"tornare all'antico", rinominando Littoria il quartiere
centrale della città, e battezzando strade e piazze con nomi di
personaggi e località geografiche cari al Ventennio.
Sul fronte opposto, le città "rosse" da sempre si
sbizzarriscono con via Lenin, via Stalingrado, via Gramsci, per
arrivare all'"epicentro" del reggiano dove si trovano
addirittura vie Ho Chi Min e Maresciallo Tito. Fino a Cavriago,
comune il cui sindaco onorario, dal 1917, è Vladimir Ilic
Lenin.
Anche la lotta alla mafia è oggetto di scontro, quando si
tratta di ricordarne i protagonisti. Ultimo caso, a Comiso (Rg),
dove la giunta ha cancellato l'intitolazione dell'aeroporto al
parlamentare del Pci Pio La Torre, ucciso dalla mafia nell'82,
ripristinando, dopo appena un anno, la vecchia intestazione:
"Vincenzo Magliocco", generale dell'Aeronautica morto in
Etiopia nel '36. E sull'aeroporto Falcone e Borsellino, il
principale dell'isola, a pochi chilometri da Palermo, l'anno
scorso, il presidente dell'assemblea regionale siciliana
Gianfranco Micciché ha pubblicamente osservato che
l'intitolazione ai due magistrati uccisi dalla mafia,
"trasmette un'immagine negativa della Sicilia".
Su altri personaggi, legati alla storia recente del paese,
continua un dibattito che si è aperto, di fatto, il giorno dopo
la morte. E' il caso di Bettino Craxi, a cui alcuni comuni hanno
già dedicato vie, suscitando non poche opposizioni. (ANSA).
CENSIS, 10% FAMIGLIE ITALIANE VITTIME DI REATI
ROMA, 11 SET - Nell'ultimo anno e mezzo circa il 10%
delle famiglie italiane è stata vittima di un reato. Lo rivela
uno studio del Censis, che sarà presentato al World Social
Summit, iniziativa della Fondazione Roma che si terrà dal 24 al
26 settembre per discutere delle questioni legate all'evoluzione
sociale a livello internazionale.
L'allarme criminalità - è detto nella ricerca anticipata da
Giuseppe Roma, direttore Censis, a SkyTg24 - rappresenta una
delle principali paure degli italiani: ha subito almeno un reato
l'11,1% delle famiglie nel nord est, l'8,9% nel nord ovest, il
10,3% al centro e il 7,9% al sud. Sono le città più grandi,
inoltre, ad apparire più insicure: nei comuni con oltre 250mila
abitanti le famiglie vittime di episodi criminosi sono l'11,2%,
contro il 6,9% dei comuni fino a 5mila abitanti.
Analizzando le tipologie di reato, la più diffusa è il furto
in appartamento: ad averlo subito è il 37,5% delle famiglie
italiane, con una prevalenza al Centro, dove si registra una
percentuale del 52,5%, seguito dal 36% del sud, dal 33,3% del
nord ovest e dal 30,3% del nord est. Al furto in appartamento
seguono il borseggio, con una percentuale complessiva del 14,1%,
e il furto di veicoli, con il 12,5%, particolarmente frequente
al sud, dove la percentuale si attesta sul 20%.
Accanto ai dati ufficiali, per questo tipo di reati c'é
anche una rilevante percentuale di "sommerso", vale a dire
reati subiti ma non denunciati: sia per il furto in appartamento
che per il borseggio la percentuale è del 19,3%, e arriva al
35,7% soltanto nel nord ovest, area con il tasso di sommerso
più alto.
Ma quali sono i luoghi o le situazioni in cui gli italiani si
sentono più insicuri? Attraversare una zona frequentata da
tossicodipendenti è la maggiore ansia per il 36,8% degli
intervistati, più uomini (42,2%) che donne (33,5%). Il 22,9%,
invece, ha indicato come fonte di insicurezza l'attraversare una
zona ad alta presenza di immigrati (i più timorosi sono i
giovani con una percentuale del 33,7%), mentre il 20,5% segnala
l'uscire di banca o dalla posta dopo aver ritirato denaro
contante. Essere solo a casa di notte, nonostante la grande
frequenza di furti in appartamento, è motivo di paura solo per
il 10,9% degli intervistati, in prevalenza donne (13,2%).
(ANSA).
ORDINANZE ANTI-VU'CUMPRA' E PER CASSONETTI, MA SERVONO SOLDI
ROMA, 6 AGO - Un provvedimento anti-rovistaggio nei
cassonetti per prevenire il degrado sulle strade. Quella
annunciata da Gianni Alemanno e' una delle prime ''ordinanze
creative'' auspicate dal ministro Maroni, all'indomani della
firma del decreto che amplia i poteri dei sindaci in materia di
sicurezza. Ma ci sono gia' anche altri colleghi del primo
cittadino di Roma che annunciano misure contro il degrado e la
criminalita' diffusa.
Il sindaco di Alassio, prendendo esempio da Venezia, ha gia'
firmato un'ordinanza 'anti-vu'cumpra' (divieto di trasporto di
mercanzia in borsoni e sacchi di plastica e di utilizzo di
furgoni come deposito merce). Un doppio stop a venditori abusivi
e graffitari, viene dal sindaco di Massa Roberto Pucci:
''Firmero' - spiega - un'ordinanza che prevede l'installazione
di telecamere nei punti piu' nevralgici e decideremo con la
prefettura eventuali altre iniziative''. Flavio Tosi, sindaco leghista di Verona, parla di nuovi
interventi per arginare il fenomeno della prostituzione e il
dispiegamento di 'assistenti civici' con funzione di controllo,
in aggiunta ai 75 soldati inviati dal ministro La Russa. Per
''tutelare il decoro'', anche il primo cittadino di Padova, il
democratico Zanonato, intende multare i clienti di prostitute
che intralciano il traffico. ''Lo stesso - continua - vale in
caso di immobili occupati, di aree invase da ambulanti, o di
zone rese invivibili dalla presenza di clandestini''.
Ma c'e' anche chi, a prostituzione e accattonaggio, intende
aggiungere la battaglia contro lo spaccio di stupefacenti: e' il
caso di Torino, dove al Tossic park oggi controllato
dall'esercito, si aggiungono locali notturni e bar 'piazze
dello smercio'. ''Abbiamo raccolto tutte le segnalazioni di
polizia, vigili e carabinieri - afferma il sindaco Chiamparino -
in cui si dice che in quei posti si spaccia droga. Ecco, adesso
stiamo lavorando per riuscire ad intervenire in modo serio
contro di loro''.
Chiamparino, tuttavia, pur apprezzando il decreto, chiede
piu' risorse: ''E' inutile concedere piu' poteri ai primi
cittadini se poi mancano gli uomini alle forze dell'ordine,
oppure non c'e' la benzina per far girare le volanti della
polizia. Il problema e' che senza soldi non si fa nulla''.
Qualche riserva anche dal sindaco di Genova, Marta Vincenzi, che
spera che le nuove risorse non sostituiscano quelle gia'
promesse per il Patto sulla sicurezza, e da Massimo Cacciari,
primo cittadino di Venezia, che commenta:''Non ci sono novita'.
Non ci hanno appuntato nessuna stella da sceriffo sul petto. Se
non ci danno uomini e mezzi andremo avanti, come fatto fino ad
oggi, tra sussurri e grida''. Toni polemici, infine, da parte
di Adriana Scaramuzzino, vice di Sergio Cofferati, la quale ha
parlato di ''una logica da anni '30 che non e' al passo con la
democrazia. Nel momento in cui si ha solo un'impostazione di
questo tipo e non si fronteggiano i problemi dando delle
alternative significa che stiamo precipitando velocemente verso
uno Stato di polizia'' . (ANSA).
UNIVERSITA': PARTE CORSA ALLOGGI, TANTI AFFITTI 'NERI'
ROMA, 5 SET - Con l'imminente inizio del nuovo anno
accademico ritorna la corsa agli alloggi per gli studenti fuori
sede. Ogni anno sono messe a disposizione degli studenti
residenze da parte delle università, delle aziende regionali e
degli istituti religiosi, variabili a seconda della
disponibilità. Stando ai dati del Ministero dell'Istruzione
relativi al 2007, le regioni con il più alto numero di
fuorisede sono Lombardia (circa 94 mila su 200 mila totali),
Lazio (circa 75 mila su 185 mila), Emilia-Romagna (circa 80 mila
su 121 mila) e Veneto (circa 59 mila su 92 mila). In tutti
questi casi il numero di posti letto totali messi a disposizione
é nettamente inferiore a quello di chi studia fuori dalla
propria regione d'origine: sono circa 10 mila per la Lombardia,
circa 6.000 per l'Emilia-Romagna, 4.200 circa per il Lazio e
5.030 per il Veneto. Ci sono, poi, regioni come Valle d'Aosta e
Molise, in cui non c'é alcun posto letto messo a disposizione.
In nessuna delle altre regioni, inoltre, i posti letto sono
sufficienti a soddisfare la domanda dei fuori sede.
La conseguenza inevitabile è che si ricorre sempre più alle
offerte di alloggi privati. E a riproporsi è il vecchio
problema di affitti in nero e sempre più alti. Qual è la
situazione nelle regioni italiane a riguardo? In base a una
ricognizione sui siti dedicati agli studenti, al vertice della
classifica delle città più care c'é Roma, seguita da Milano e
Firenze. Se nella Capitale il costo medio di una stanza singola
é di 500 euro, variabile a seconda della zona e della
metratura, a Milano e Firenze la media è di 400 euro. A seguire
Bologna, che, con un costo medio (sempre in riferimento alla
singola) di 350 euro, in aumento rispetto allo scorso anno, è
la città universitaria più cara dell'Emilia-Romagna: città
come Parma e Modena si attestano sui 300 euro. Partendo dal Nord
si riscontra questa cifra anche ad Aosta, Torino, Genova (meno
cara è Savona, con una media di 250 euro a singola), e, verso
est, Verona e Venezia, mentre leggermente più economiche per
chi vuole studiare sono Padova (costo medio singola 250 euro) e,
in Friuli, Udine e Trieste, dove per avere una stanza singola si
pagano mediamente 200-220 euro.
Se Firenze è la città universitaria più cara dopo Roma e
Milano, le altre città toscane non si rivelano comunque
convenienti: a Pisa e Siena il prezzo medio di una singola è di
300 euro. Più economiche sono Umbria, Marche, Abruzzo e Molise:
per studiare negli atenei di Perugia, Ancona, Camerino,
l'Aquila, Chieti e Campobasso occorrono mediamente 200 euro per
una stanza singola. Più abbordabili si rivelano, infine, le
città meridionali:se affitti un po' più alti si riscontrano a
Napoli, dove il prezzo medio di una singola è di 300 euro, per
le altre città si oscilla tra i 200 euro di Bari, Potenza,
Cosenza, Catanzaro, Reggio Calabria e delle città universitarie
delle isole (Messina, Catania, Palermo, Enna, Cagliari) e i 150
euro di Foggia e Lecce. (ANSA).
Monday, September 01, 2008
Wednesday, August 13, 2008
Monday, August 11, 2008
Le mie inchieste per Lumsa news/colf e badanti a Roma
COLLABORATORI FAMILIARI: IL 90 % È STRANIERO
ROMA- Una città nella città: è questa l’espressione più adatta a definire l’estesa comunità di immigrati presente a Roma. Da tempo, infatti, la Capitale rappresenta il punto di maggiore concentrazione di stranieri; tra questi una fetta consistente è rappresentata da coloro che trovano lavoro come badanti o colf, abbreviazione utilizzata per identificare i cosiddetti “collaboratori familiari”. Chi sono questi lavoratori e quali sono le caratteristiche del fenomeno? Secondo i dati del IV rapporto Caritas sull’immigrazione, su oltre 431mila immigrati presenti nella provincia di Roma e 165mila occupati nati in paesi esteri, circa 15mila lavorano nell’assistenza alle famiglie, il 9,5 % del totale. A Roma, inoltre, è straniero ben il 90 % del totale (italiani e stranieri) degli addetti di questo settore: la nostra città detiene il primato per numero di collaboratori familiari immigrati. La maggior parte di essi, quasi l’87 % dei domestici stranieri, è costituita da donne, con un’età media che si aggira sui 40 anni, mentre una quota del 18 % supera i 50 anni. Questo perché, come ci ha spiegato la dottoressa Ginevra De Maio, coordinatrice del rapporto insieme a Franco Pittau, tra le donne molte sono signore di mezza età che partono lasciando figlie e famiglia nel paese d’origine. I principali paesi di provenienza sono quelli appartenenti all’area dell’ex Urss, in particolare Romania, Ucraina e Polonia: circa il 43 %, infatti, arriva da un paese dell’Europa centro-orientale, il 23 % dall’Africa e il 16 % dall’America Latina.
Una buona parte è, inoltre, diplomata e compie occupazioni inferiori rispetto alla qualifica professionale: a Roma tra gli stranieri residenti, quelli con un titolo di laurea o di scuola superiore sono il 52%, con una formazione più elevata rispetto al resto dell’Italia, dove sono il 42%. Collaboratrici familiari e badanti guadagnano mediamente, secondo l’Inps, 4.860 euro all’anno (poco più di 400 euro al mese), di fatto la metà della retribuzione percepita da un lavoratore immigrato (pari a 10.000 euro annui). Questo può dipendere da diversi fattori: i datori sono famiglie che non sempre possono pagare cifre elevate, una quota del lavoro svolto non viene dichiarato e rimane quindi nella sfera del sommerso, la maggior parte dei lavoratori domestici sono donne, le quali in generale si è visto che percepiscono una retribuzione inferiore a quella degli uomini di circa il 41,2%. Ma quali sono le intenzioni di colf e badanti straniere? Quasi tutte di fatto restano in Italia, dato che dal 2006 al 2007 sono stati solo 16.900 gli immigrati che si sono cancellati dalle liste anagrafiche per trasferirsi all’estero.
Tendenza probabilmente favorita dalla volontà di incentivare la regolarizzazione, anche se di fatto la situazione non è stata sempre la stessa: se nel 2002, a seguito della cosiddetta “grande regolarizzazione”, i lavoratori domestici hanno superato le 500 mila unità grazie all’emersione di circa 250mila lavoratori immigrati prima relegati nel sommerso, negli anni successivi il loro numero invece di crescere è diminuito, probabilmente perché i contributi vengono versati in occasione delle procedure di regolarizzazione per favorire la presenza legale in Italia, ma poi vengono interrotti, in misura parziale o totale (‘reimmersione’), per lo meno fino al momento in cui si rende necessario il rinnovo del permesso di soggiorno (‘riemersione’). Con l’ultimo decreto flussi (quello del 2007) è stata, tuttavia, prevista una quota di lavoratori domestici da far entrare regolarmente pari a 65.000 in tutta Italia e a 4.000 nella provincia di Roma.
Gli adempimenti indispensabili per il datore di lavoro consistono nel dotare colf e badanti del permesso di soggiorno nel caso in cui siano cittadine extracomunitarie e della Carta di soggiorno CEE per quelle di nazionalità extracomunitaria. Va segnalata, infine, la nascita di associazioni per l’inserimento e la tutela delle lavoratrici immigrate: si possono citare, ad esempio, la Acli Colf, Associazione professionale delle Acli che organizza le collaboratrici e i collaboratori familiari, e la Api-colf, associazione ecclesiale con consulenti sia in campo nazionale che in campo locale. Dal marzo 2005, inoltre, esiste a Roma il “registro cittadino per assistenti familiari”, un vero e proprio albo in cui sono registrati tutti i nomi di chi fa assistenza agli anziani, a disposizione di chiunque cerchi un collaboratore con esperienza qualificata.
CHIARA DEL PRIORE (10/04/08)
Le mie inchieste per Lumsa News/Morti bianche
ROMA- Il problema delle morti bianche è stato riportato all’attenzione dalla recente tragedia della ThyssenKrupp. Per comprendere l’effettiva portata del fenomeno, abbiamo dato un’occhiata alle ultime statistiche: secondo l’INAIL, nei primi nove mesi del 2007 i casi di infortuni mortali sul lavoro sono diminuiti del 2,1% rispetto al periodo omologo dell’anno precedente. Tra i mesi di gennaio e quello di settembre 2007, infatti, ci sono stati 965 casi di infortuni mortali sul lavoro, rispetto ai 986 riscontrati nello stesso periodo del 2006.
Anche se i numeri fanno registrare una lieve diminuzione dei casi di morti sul lavoro, abbiamo cercato di commentare i dati relativi alla provincia di Roma e alla Regione Lazio con Antonio Napolitano, direttore della sede regionale dell’ INAIL .
L’episodio della ThyssenKrupp ha riportato all’attenzione il tema delle morti sul lavoro. Quali sono le proporzioni del fenomeno a Roma e nel Lazio e i settori maggiormente colpiti?Da questo punto di vista la Regione Lazio può considerarsi una regione “virtuosa”, poiché il tasso di mortalità è molto inferiore se confrontato con quello di altre regioni italiane. Questo perché la maggior parte delle imprese laziali operano nel settore terziario. In ogni caso, la maggior parte degli episodi si riscontra prevalentemente nel settore dell’edilizia e in quello dei trasporti.
Quali sono gli ultimi episodi riscontrati nella Capitale?Il mese di dicembre è stato molto negativo. A pochi giorni di distanza si sono registrati vari episodi:
un operaio di 22 anni ha perso la vita cadendo da un’impalcatura a Pomezia e si tratta del secondo caso in due anni avvenuto con le stesse modalità; sempre a dicembre un apprendista dipendente delle Ferrovie dello Stato è stato travolto da un treno a Terricola mentre lavorava alla tratta ferroviaria Roma-Napoli. L’ultima tragedia risale a pochi giorni fa, quando un uomo di 45 anni di origine romena è stato travolto e ucciso nei pressi della stazione di Palo Laziale da un treno regionale partito da Roma Termini e diretto a Civitavecchia.
Quali sono gli strumenti legislativi approntati per combattere il fenomeno e ci sono, invece, delle soluzioni ancora da adottare?In materia di sicurezza sui luoghi di lavoro il nostro Paese presenta un quadro legislativo abbastanza completo. Il primo riferimento risale alla legge 547 del 1955, che ha regolamentato la sicurezza nei luoghi di lavoro fino agli anni Novanta. Le più recenti sono il decreto 626 del 1994, con le successive modifiche, la legge 494 del 1996 sui cantieri, la 123 dello scorso 8 agosto, fino ad arrivare al decreto Bersani e al decreto legge sulla sicurezza, attualmente in fase di discussione.
Le norme esistenti sono adeguate, quello che occorre far capire, al di là degli strumenti legislativi, è che è necessario diffondere la cultura della sicurezza sul lavoro, a partire dalle aziende, ed avere più rispetto per le condizioni dei lavoratori. Nel caso della ThyssenKrupp, cui lei faceva riferimento, l’impresa ha grandi colpe, tra cui quelle di aver dimezzato il personale, prolungando così l’orario lavorativo degli operai a disposizione, costretti a turni anche di 16 ore, e di non aver tenuto conto delle esigenze dei suoi dipendenti.
Secondo lei, il lavoro nero influisce sul problema e in che misura?Il lavoro nero ha influito e influisce sul problema. È ovvio che nel caso dell’assunzione in nero di un lavoratore ci sia scarsa o nessuna attenzione per la sicurezza del lavoratore. Tuttavia ora con le nuove norme il lavoro nero è fortemente perseguito: di recente, infatti, è avvenuta la chiusura di 3000 cantieri edili in seguito alla disposizione che vieta una percentuale di lavoratori in nero superiore al 20% dei dipendenti. Questo è solo un esempio di come si stia cercando di debellare il fenomeno.
CHIARA DEL PRIORE (10/01/08)
Saturday, August 09, 2008
Le mie inchieste per Lumsa news/Abusivismo
Abusivismo: E’vera emergenza?
ROMA. Quali sono le effettive proporzioni del fenomeno dell’abusivismo nella Capitale e quali strumenti sono stati approntati per combatterlo? Lo abbiamo chiesto all’ assessore alla sicurezza del Comune Jean Leonard Touadi e ad Antonio Di Maggio, comandante dell’ VIII gruppo e capo del nucleo sicurezza urbana della polizia municipale di Roma. Il comandante Di Maggio si sofferma soprattutto sul caso lavavetri: ”Il mercato dei lavavetri -spiega- è in mano, per l’80% dei casi, a cittadini di origine romena, i quali hanno conquistato le postazioni dei semafori a suon di botte. Secondo i nostri rilievi a Roma esso conta su poco più di un migliaio di persone tra adulti e bambini, che però si dedicano anche all’accattonaggio”. La questione, dunque, sembra essere di portata decisamente minore rispetto alle attese: ”Il caso di Firenze –continua Di Maggio– portato all’attenzione della stampa, è stato poi gonfiato. Noi, infatti, abbiamo agito su alcune priorità più urgenti come il commercio abusivo, la mendicità, la difesa delle piazze del centro storico dai borseggiatori e soprattutto la prostituzione minorile”. Nessuna ordinanza anti-lavavetri, quindi, ma una forte intensificazione dei controlli per fronteggiare non solo questo fenomeno, ma anche quello dei tanti parcheggiatori “improvvisati” che si aggirano per le strade della Capitale. Si tratta perlopiù di nordafricani e italiani, quasi tutti ex detenuti e/o tossicodipendenti, concentrati prevalentemente in alcune zone, tra cui il Verano, l’Olimpico, il Flaminio e, in estate, il litorale romano, Ostia su tutti.
A parlarne è ora Jean Leonard Touadi, il quale, a differenza di Di Maggio, è convinto dell’esistenza di un vero e proprio racket, che regolerebbe la spartizione di semafori e aree di sosta per gli abusivi. Attualmente, ha messo in evidenza l’assessore, non esiste una regolamentazione di carattere generale che riguardi nello specifico queste due tipologie di lavoro abusivo: ”Siamo in attesa di provvedimenti governativi -spiega- perché il Comune di Roma ha sottolineato già la necessità di norme nazionali, ogni città non può fare a modo suo per queste cose”. Gli unici riferimenti normativi, infatti, possono essere rintracciati nell’art. 155 del Testo Unico di Pubblica Sicurezza e negli articoli 671 e 600 del nostro Codice penale, rispettivamente sull’accattonaggio e sulla riduzione in schiavitù; a rafforzare il quadro nazionale in materia è intervenuto solo ora il tormentato pacchetto sicurezza, giunto all’approvazione la scorsa settimana. Parte integrante del pacchetto è proprio il disegno di legge sulla pubblica sicurezza, che prevede, tra le varie disposizioni, il potenziamento del potere di sindaci e prefetti e il rafforzamento della collaborazione tra forze dell’ordine e vigili urbani. L’obiettivo resta sempre quello di contrastare il diffondersi di un fenomeno che, se da un lato potrebbe danneggiare i cittadini, dall’altro va analizzato nelle sue dimensioni reali, evitando di ricreare un nuovo "caso Firenze"
(CHIARA DEL PRIORE(LUMSA NEWS-05/11/07)
Thursday, August 07, 2008
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