Saturday, May 14, 2011

Fukushima e il dibattito sul nucleare italiano

Cosa pensate del nucleare ?Sul blog di Cultur-e, l'agenzia di comunicazione per cui lavoro, ho pubblicato un intervento che sintetizza le posizioni della politica, della scienza e dell'opinione pubblica a riguardo.

Migliaia di precari scesi in piazza: "Non vogliamo più essere sfruttati"

Articolo sulla manifestazione contro il precariato "Il nostro tempo è adesso", che si è svolta a Roma lo scorso 9 aprile. (fonte: la Repubblica degli stagisti")

"Il nostro stage all'Enit": un'esperienza fallimentare

Link all'articolo pubblicato sulla "Repubblica degli stagisti" il 10 marzo 2011. Il pezzo è la testimonianza di due lettori, ex stagisti dell'Enit, ente nazionale per il turismo.

Saturday, November 27, 2010

I giovani e la giungla del mercato del lavoro:tante parole, poche certezze. Ad Atreju 2010 Sacconi,Ichino,Polverini e Letta a confonto sul tema lavoro

Alla fine, l'atteso faccia a faccia tra il ministro del lavoro Maurizio Sacconi e il giuslavorista e senatore Pietro Ichino sul tema delle prospettive occupazionali per i giovani non c'è stato. Sopratutto perché il ministro, al dibattito organizzato nell’ambito di Atreju, la festa nazionale della Giovane Italia (movimento giovanile ufficiale del Popolo della Libertà ndr), a Roma dall’8 al 12 settembre, si è presentato in ritardo di circa mezz’ora . E allora il dibattito ha preso un'altra piega, coinvolgendo gli altri ospiti:la governatrice della regione Lazio Renata Polverini e il vicesegretario nazionale del Partito Democratico Enrico Letta.Un incontro che solo in rari momenti ha toccato il “cuore” della questione: tanti i buoni propositi, poche, per la verità, le soluzioni concrete messe sul tavolo. Quali sono i principali problemi del nostro sistema occupazionale e come si può favorire l’ingresso di tanti diplomati e neolaureati nel mondo del lavoro? Nel corso della conferenza si è cercato di rispondere a questi due importanti interrogativi. Le cause dell’attuale instabilità del mercato del lavoro sono numerose e di diversa natura: per il ministro Sacconi «la situazione di oggi è eredità di un passato, caratterizzato da politiche occupazionali sbagliate, e dalla scarsa efficienza di enti troppo lontani dalla realtà lavorativa, come le università, veri e propri “conventi di clausura” ». Il democratico Letta non va molto indietro nel tempo nel trovare una spiegazione: «Regioni e governo nazionale hanno destinato la quasi totalità degli 8 miliardi di euro di ammortizzatori sociali a chi ha un contratto a tempo indeterminato, preferendo così mantenere il lavoro già esistente, piuttosto che investire su nuove assunzioni». Il risultato è un’immobilità generale, che di fatto non ha aiutato le nuove generazioni, per la maggior parte escluse da questa tipologia contrattuale. Come realizzare, allora, la svolta? Le proposte si giocano su diversi fronti:innanzitutto, sostiene Letta, dando vita a una serie di misure fiscali sulla casa e sulla prima assunzione, con l’obiettivo di facilitare l’allontanamento dalla famiglia.Poi potenziando il ruolo di tutte quelle realtà che dovrebbero tutelare un giovane prima e dopo l’ingresso nel mondo del lavoro.Le università, in primis: sia Renata Polverini (che ha alle spalle una lunga esperienza sindacale, come segretario Ugl) che Maurizio Sacconi sono convinti che bisogna fare degli atenei un ponte tra studio e lavoro, in grado di orientare costantemente i giovani.L’unico esempio concreto in tal senso è stata la proposta di potenziamento del placement universitario, cui il ministro ha fatto riferimento nel corso del dibattito. Senza specificare con quali fondi, però.Il sistema, tuttavia, va modificato anche sotto altri aspetti: Ichino si è soffermato sull’importanza di riformare alcune strutture, come gli ordini professionali, che devono avere come fine quello della «tutela della collettività» , e di favorire la dinamicità delle nostre imprese, in modo da renderle capaci di assorbire un numero quanto più ampio possibile di lavoratori.La conferenza è stata anche un’occasione per parlare del controverso “Patto Italia 2020”, promosso dal Governo, dal titolo “I nostri giovani prima di tutto”. Il documento si sofferma sulle problematiche del lavoro, proponendo soluzioni come la valorizzazione del contratto di apprendistato e del ruolo dell’università. Ma soprattutto, ha spiegato Sacconi, «affonda le sue radici nel riconoscimento del valore della vita e nella responsabilizzazione della persona nelle sue scelte di studio e di lavoro, che devono essere basate sulla “convinzione” e non sulla “convenzione”». Un’affermazione che lascia qualche perplessità, se si pensa che il Patto mette l’accento sulla necessità, da parte delle famiglie, di continuare a sostenere economicamente i giovani, più che favorirne l’autonomia.Che siano questi gli antidoti per orientarsi nella giungla del lavoro? I giovani attendono e sperano, ma per ora all’orizzonte ci sono più perplessità che certezze.

Sunday, July 11, 2010

Tirocini UNV, la testimonianza di Alice Michelazzi: «Un ottimo punto di partenza per conoscere il mondo della cooperazione»

Mi chiamo Alice Michelazzi, ho 31 anni e sono di Milano. Attualmente vivo in Africa, a Njombe, una cittadina nel sud-ovest della Tanzania, dove lavoro con una organizzazione non governativa a un progetto di elettrificazione e sviluppo rurale. Da sempre ho la passione per le politiche dello sviluppo e della cooperazione internazionale: ho iniziato ad avvicinarmi sul piano teorico a queste tematiche studiando scienze internazionali e diplomatiche alla sede di Forlì dell'università di Bologna. Durante il periodo universitario ho scoperto l'Internship Program dell'UNV sul sito UN/DESA, il portale del dipartimento di affari economici e sociali delle Nazioni Unite. Ho partecipato, appena laureata, al bando del 2004 che prevedeva la partenza nella primavera successiva. Nel 2003 a Milano avevo svolto il servizio civile per l'ong CeLIM, Centro laici italiani per le missioni, ma il mio desiderio era di spostarmi all’estero: per questo mi ero già messa in contatto con diverse ONG. Fino a quando sono stata selezionata e, a marzo 2005, all’età di 26 anni, è iniziata la mia esperienza UNV: destinazione Eritrea. Il tirocinio, come previsto, è durato un anno: ho firmato un contratto e ho ricevuto un rimborso spese mensile di 1300 dollari [equivalenti all'epoca più o meno a 975 euro], commisurato al costo della vita del Paese che mi ospitava. Avevo poi anche diritto all’assicurazione sanitaria e a un viaggio a/r dal luogo di origine. In Eritrea ero l'unica tirocinante: lavoravo presso l’ufficio UNV di Asmara, affiancando la UNV project manager in tutte le attività di competenza di quella sede: dalla gestione dei volontari in arrivo e in partenza, alla redazione di una newsletter, dall’organizzazione degli eventi legati allo UNV Day, fino alla partecipazione alle attività della sede UNDP Eritrea. [A questo link, l'articolo «Volunteering for human rights in Eritrea and Ethiopia» scritto da Alice nel novembre 2005 e pubblicato sul sito UN Voluteers, nella sezione «Volunteer Voices»] Nonostante le normali difficoltà e le mille problematiche che si incontrano in un paese straniero ritengo la mia esperienza molto positiva, perché mi ha dato la possibilità di scoprire “dall’interno” il mondo delle Nazioni Unite in tutte le sue sfaccettature. In più un tirocinio del genere rappresenta un elemento importantissimo per il proprio curriculum, oltre ad essere una buona carta da giocare per successive opportunità professionali. Ad esempio, nel mio caso, dopo il periodo di tirocinio UNV, ho trovato lavoro con la ong Iscos - Istituto sindacale per la cooperazione e lo sviluppo - sempre in Eritrea, da maggio a dicembre 2006, seguendo un progetto di sicurezza alimentare. In seguito sono arrivata a quella che è la mia occupazione attuale, in Tanzania: oggi torno in Italia solo un paio di volte l'anno. A chi sogna di lavorare nell’ambito della cooperazione consiglio vivamente di fare questa esperienza. Innanzitutto perché vivere per un periodo così lungo all’estero permette di toccare davvero con mano un certo tipo di contesto, con tutte le sue criticità: sperimentare in maniera diretta determinate realtà, a mio avviso, è fondamentale per svolgere al meglio un lavoro del genere. E poi i tirocini UNV, avendo un limite d’età abbastanza basso [si può fare richiesta entro i 26 anni] sono un ottimo punto di partenza per entrare a contatto con questo mondo. Testo raccolto da Chiara Del Priore

Wednesday, June 23, 2010

UNV Internship Programme: trenta tirocini in Paesi in via di sviluppo finanziati dal ministero degli Esteri

L’UNV Internship Programme, acronimo che sta per United Nations Volunteers, è un’iniziativa annauel finanziata dal Ministero degli affari esteri e organizzata in collaborazione con il dipartimento di affari economici e sociali delle Nazioni Unite, che offre a giovani laureati l’opportunità di effettuare tirocini in paesi in via di sviluppo, per un periodo di 12 mesi. Il programma prevede la partecipazione a progetti delle Nazioni Unite in diversi stati extraeuropei (soprattutto africani, ma anche dell’America centro-meridionale e dell’Asia), intervenendo in specifiche aree di interesse:governance, pari opportunità, tecnologie dell’informazione e della comunicazione, micro-imprese, riduzione della povertà, sviluppo sostenibile, ambiente. I tirocinanti ricevono un alloggio e un rimborso spese, proporzionato al costo della vita del paese di destinazione e variabile dai 1000 ai 3mila dollari netti (da 830 a 2500 euro), più un biglietto aereo andata e ritorno. Fino al 30 luglio è aperto il bando per gli stage UNV che partiranno a febbraio 2011. Ancora non è stato stabilito il numero preciso di posti disponibili, ma saranno all'incirca una trentina I requisiti previsti dal bando (consultabile sul sito www.undesa.it) sono: età non superiore a 26 anni (nati dal 1 gennaio 1984), nazionalità italiana, ottima conoscenza della lingua inglese e preferibilmente di un’altra lingua ufficiale delle Nazioni Unite, laurea vecchio ordinamento, o specialistica, oppure triennale seguita da un master. È fondamentale, inoltre, possedere conoscenze di base sulle questioni della cooperazione allo sviluppo. Titolo preferenziale un’esperienza da volontario in ONG o comunità. Il modulo di domanda, da compilare in inglese, è disponibile presso l’ufficio UN/DESA di Roma o scaricabile dai siti www.undesa.it e www.esteri.it. Ad esso vanno allegati una lettera motivazionale in inglese (non più di 200 parole), certificati di laurea e post-laurea (anche in fotocopia) e un elenco di tutti i corsi frequentati. La documentazione deve essere spedita al dipartimento degli affari economici e sociali delle Nazioni Unite (Corso Vittorio Emanuele 251, 00186 Roma), con la dicitura “Programma UNV Internship”. Non ci si può candidare via e-mail o fax. L’iter di selezione è gestito principalmente dalla sede tedesca delle Nazioni Unite:l’Italia finanzia i contratti e decide i progetti da realizzare; a Bonn, invece, vengono selezionati i profili da convocare per i colloqui, che si svolgeranno a novembre 2010. I candidati prescelti prenderanno parte, a gennaio dell’anno prossimo, a un briefing di due giorni nella città tedesca, prima di iniziare il tirocinio, nel mese successivo. Quella attualmente in corso è la decima edizione del programma UNV. Un progetto partito nel 2000, che finora ha coinvolto 292 tirocinanti, solo italiani, con circa 600 richieste ogni anno. A spiegare a Repubblica degli stagisti le caratteristiche del candidato–tipo è Rossella Salvia, programme officer dell’ufficio risorse umane per la cooperazione internazionale delle Nazioni Unite: “La maggior parte dei candidati arriva dal nord e dal centro Italia, in particolare Lombardia, Lazio, Veneto, Emilia-Romagna. I neo-laureati da cui riceviamo più richieste provengono soprattutto dall’Università di Bologna, dalla Bocconi, dall’Università “La Sapienza” e dall’Università di Perugia. Solitamente, più del doppio dei posti sono assegnati a donne. Può capitare che alcuni tirocinanti abbandonino prima della fine dei 12 mesi, ma è difficile per noi monitorare questi dati”. Uno degli aspetti più interessanti è che, a fronte di un numero di richieste pressoché costante, i posti messi a bando sono aumentati di anno in anno: “Se la prima edizione prevedeva 15 tirocini – fa notare la dottoressa Salvia - , sono stati 29 quelli assegnati per il 2009-2010. Segno dell’interesse al potenziamento di questo tipo di attività”. Che sembra rappresentare un buon investimento per i tirocinanti: anche se a Roma non sono in grado di fornire cifre precise, spiegano che in diversi casi al tirocinio è seguito un contratto a termine o un inserimento stabile nella struttura in cui si è operato. Chiara Del Priore

Friday, June 04, 2010

Articoli pagati 2,50 euro e collaborazioni mai retribuite. Ecco i dati della vergogna che emergono da una ricerca dell'Ordine dei giornalisti

L’informazione ha un costo. In tempi di crisi, però, questo dettaglio sembra passare in secondo piano: almeno stando alla ricerca “Smascheriamo gli editori”, presentata qualche giorno fa dall’Ordine nazionale dei giornalisti. Lo studio analizza le retribuzioni dei freelance, ossia i collaboratori, di una cinquantina di testate nazionali e locali, esaminando i dati che loro stessi hanno fornito all'Ordine. Il quadro è allarmante: articoli pagati meno di 3 euro, compensi percepiti dopo anni - o mai. La condanna non risparmia nessun settore: dalla carta stampata ai giornali online, dalla radio alla tv. A partire dai quotidiani più importanti, che pure annualmente ricevono cospicui contributi dallo Stato: per esempio Repubblica, che riceve 16 milioni di euro di soldi pubblici, paga un pezzo di 5-6mila battute soltanto 30 euro lordi (nel 2009 il compenso era di 50 euro); il Messaggero arriva a un massimo di 27 euro per gli articoli più lunghi, a fronte di un finanziamento statale di circa 1 milione e mezzo di euro. Nella “lista nera” c’è anche il Gazzettino, diffusissimo nel nord-est, con una tiratura di circa 100mila copie: i compensi sono di 4 euro per un pezzo che non supera le mille battute, 9,50 euro fino a 2000, 15 euro fino a tremila e 19 euro se si va oltre. L’abolizione dei tariffari minimi non ha migliorato le cose: l’ultimo, approvato nel 2007, suddivideva le testate in sette categorie. In tutti gli esempi descritti poco sopra le soglie minime stabilite sono tutt’altro che rispettate: a volte le retribuzioni erogate ai collaboratori sono inferiori perfino ai minimi della fascia più bassa. I «dati delle vergogna», come li ha definiti il segretario nazionale dell’Ordine Enzo Iacopino, non riguardano solo le testate principali. Fra tutte i giornali online: 4-5 euro lordi è il compenso mediamente percepito dalla maggioranza dei giornalisti che lavorano per testate web. Da segnalare anche gran parte dei giornali locali: il caso più eclatante è quello della Voce di Romagna, con i suoi 2,50 euro lordi ad articolo, nonostante un finanziamento statale di oltre 2 milioni e mezzo di euro. Esistono, tuttavia, anche esempi positivi: Il Foglio paga i suoi collaboratori 180 euro lordi ogni 4200 battute; il Sole 24 Ore dai 60 agli 80 euro per un pezzo di circa 5000 battute; Il Riformista 50 euro per 5500 battute. Al di là di questi casi particolari, come frenare questo sfruttamento sempre più frequente? Il ministro della gioventù Giorgia Meloni (lei stessa giornalista professionista dal 2006) ha lanciato l’idea di un “bollino blu” , una menzione di merito per le testate che hanno un comportamento virtuoso con i propri freelance. Silvano Moffa, a sua volta giornalista e presidente della commissione lavoro della Camera dei deputati, ha annunciato una proposta di legge che leghi i contributi pubblici all’editoria all’obbligo di una retribuzione equa e di garanzie minime per i collaboratori. Intanto i dati dell’indagine sono stati trasmessi alle procure della Repubblica per verificare la presenza di eventuali ipotesi di reato nelle situazioni descritte. La speranza è che alla denuncia seguano azioni concrete per cominciare a ricompensare equamente il lavoro di tanti professionisti. Chiara Del Priore

Wednesday, April 28, 2010

Inchiesta pubblicisti - La mia prima "fatica letteraria" da professionista

La testimonianza di Carlo: «Sono diventato pubblicista scrivendo gratis: ma almeno le ritenute d’acconto me le hanno pagate» In Storie di stage Di Chiara Del Priore - 27 aprile 2010 Mi chiamo Carlo, ho 23 anni e frequento la facoltà di Scienze della comunicazione all’università “La Sapienza”. Concilio lo studio con il lavoro in una copisteria, dove mi occupo dell’impaginazione di un giornale, di cui scrivo anche alcuni articoli. Per entrambe le mansioni sono regolarmente retribuito. Ho un contratto a tempo determinato di 300 euro mensili, che mi permette di pagarmi gli studi. Alla fine del 2008, dopo il classico iter di due anni e circa 90 articoli pubblicati, sono diventato pubblicista presso l’Ordine regionale del Lazio. Ho ottenuto l’agognato “tesserino” lavorando per una testata aziendale, cioè un giornale pubblicato da un’impresa e incentrato prevalentemente su tematiche aziendali, di cui preferisco non citare il nome. La redazione era composta di circa 10 persone, la maggior parte collaboratori. La mia era di fatto una collaborazione a distanza: scrivevo gli articoli da casa e non sono mai entrato direttamente a contatto con l’editore. Diventare pubblicista era per me il modo più semplice e meno oneroso per conoscere un mestiere che mi affascinava fin dai tempi del liceo. Avere il tesserino, poi, non mi avrebbe impedito di svolgere altri lavori. Per certi aspetti, la mia storia non è molto diversa da quella di tanti aspiranti giornalisti: pezzi scritti e non pagati, in barba alla legge, che parla di “attività regolarmente retribuita”. Retribuzione ovviamente certificata, dichiarando il falso, dall’editore nell’attestato richiesto dall’Ordine per l’iscrizione all’albo. A completare la documentazione, la ritenuta di acconto sui soldi che teoricamente avrei dovuto ricevere. Una prassi purtroppo molto diffusa, che colpisce la dignità di chi si avvicina a questo mondo. Tuttavia mi ritengo in qualche modo fortunato. Nonostante tutto, ho avuto dei privilegi in più rispetto a tanti colleghi: un rimborso spese per i miei spostamenti e per alcuni acquisti, come abiti in caso di partecipazione a particolari eventi, e il regolare pagamento dei contributi. Posso assicurare che non è poco: diversi amici e conoscenti hanno intrapreso l’attività giornalistica completamente a spese loro. Che tradotto significa non solo non essere pagati, ma anche versare i contributi di tasca propria, altrimenti niente tesserino. Devo riconoscere, inoltre, di aver avuto l’opportunità di fare esperienza in una realtà stimolante, che mi ha aiutato ad apprendere i trucchi del mestiere e a crescere professionalmente. Il mio racconto lascia qualche speranza in più rispetto a tante altre vicende, ma non basta. Il problema principale è che anche l’editore più onesto è costretto a fare i conti con continui tagli. E a farne le spese sono inevitabilmente i costi materiali e di tempo impiegati per formare e pagare un aspirante giornalista. Il tutto all’interno di un sistema “malato”, che andrebbe abbattuto e ricostruito. A partire da nuove basi: innanzitutto stabilendo come criterio principale per il tesserino il possesso di una laurea o il diploma della scuola di giornalismo, in modo da portare nelle redazioni persone qualificate e non “scrittori ancora da formare”, a costo zero. È fondamentale tutelare la dignità di chi fa parte di questo mondo, sia da apprendista che da professionista. E poi bisognerebbe ripristinare i tariffari minimi dei giornalisti, aboliti nel 2008, e controllare che vengano rispettati: questo permetterebbe a chi scrive di avere la giusta ricompensa per il proprio lavoro. Carlo* * Carlo è un nome di fantasia, per proteggere l'identità della persona che ha affidato alla Repubblica degli Stagisti la sua testimonianza Testo raccolto da Chiara Del Priore

Wednesday, January 20, 2010

TRAGUARDO RAGGIUNTO

Ora posso dirlo: SONO PROFESSIONISTAAAAAAAAAAA