Thursday, November 13, 2008

Collaborare per la pace ne l nome di Dio/

ROMA- Sono trascorsi poco più di due anni da quando Papa Benedetto XVI, nel corso del suo viaggio in Baviera, pronunciava l’ormai celebre “discorso di Ratisbona”. La citazione fatta dal Pontefice durante la sua Lectio Magistralis all’Università tedesca, attribuita all’imperatore bizantino Manuele II Paleologo, assediato dagli Ottomani a Costantinopoli durante la guerra santa, fu oggetto di un’aspra controversia con l’Islam. La frase in cui si affermava che “Maometto avrebbe portato solo cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada ciò che egli predicava”, anche se spesso estrapolata dal suo contesto ed enfatizzata dai media, causò indignazione tra i musulmani, cui seguirono polemiche e forti proteste di piazza. Da allora il tentativo di ricucire i già fragili rapporti tra le due religioni è passato attraverso varie proposte di dialogo, tra cui la lettera (dal titolo “Una parola comune tra noi e voi”) indirizzata lo scorso anno da 138 personalità musulmane al Papa e ai capi religiosi cristiani, dove emergeva l’esigenza di un confronto universale. Esigenza che si è concretizzata nel primo Forum cattolico-musulmano, organizzato a Roma dal Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, in cui 29 esponenti cattolici e altrettanti musulmani hanno discusso sul tema “Amore di Dio, amore del prossimo”. È stato proprio il dialogo, inteso come “atteggiamento umile” nei confronti dell’altro, a fare da padrone nell’incontro interreligioso. Ad affermarlo nella conferenza conclusiva, davanti a una vasta platea di studiosi e giornalisti, è stato il professor Joseph Maila, rettore dell’ “Institut Catholique de Paris”, portavoce della parte cattolica: “Il dialogo – ha spiegato – non è uno scambio di convenevoli, ma di convincimenti. Lo spirito che lo ha caratterizzato in questi due giorni non è stato quello di uno scetticismo reciproco che spesso lo contraddistingue, né quello di un consenso puramente superficiale, ma una predisposizione che porta ad accostarsi con umiltà alle convinzioni di chi è di fronte a noi”. Obiettivo non sempre facile, soprattutto alla luce dei pregiudizi reciproci ancora presenti in alcuni esponenti delle due religioni: “Quella del dialogo – ha affermato Ingrid Mattson, presidente della Società Islamica del Nord America – è per entrambi una grande sfida. Ci sono musulmani e cristiani che non volevano ci riunissimo qui perché molte volte prevale la paura di comunicare con l’altro. Allo stesso tempo, l’iniziativa del dialogo è sorta come una necessità, in quanto la religione è ormai troppo spesso fonte di conflitti. Da qui l’esigenza di incontrarci per trovare delle soluzioni comuni”. Se la lettera inviata dagli esperti musulmani ai cristiani si limitava a individuare gli elementi comuni ai due testi sacri fondamentali, la Bibbia e il Corano, il seminario è andato oltre, individuando dei principi universali, a partire da un fondamento imprescindibile: Dio è amore e il suo amore si esplicita innanzitutto nel rapporto con il prossimo. Pilastro, questo, da cui derivano tutti i punti programmatici della Dichiarazione presentata al termine dei lavori del Forum: tra questi il rispetto per la vita umana, la tutela delle minoranze e l’impegno contro il terrorismo. “La vita umana – si legge al secondo e al terzo punto del documento – è un dono preziosissimo di Dio a ogni persona e la persona esige il rispetto della sua dignità originaria e della sua vocazione umana”; da qui l’importanza di tutelare, sulla base del rispetto per l’altro, che “include il diritto di individui e comunità a praticare la propria religione in pubblico e in privato”, le minoranze religiose: “Le minoranze religiose – si legge al punto numero 6 – hanno il diritto di essere rispettate nelle proprie convinzioni e pratiche religiose e hanno diritto ai propri luoghi di culto”; un tema, questo, enormemente dibattuto nel corso dell’incontro, anche alla luce delle persecuzioni di cristiani e musulmani laddove le loro religioni sono minoritarie: “I rapporti tra cattolici e musulmani – ha spiegato il cardinale Jean-Louis Turan, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso – dipendono molto dalle circostanze politiche in cui l’Islam è religione maggioritaria, provocando spesso tensioni che poi si riflettono sulle minoranze cristiane nei Paesi islamici”. Tensioni che sempre più di frequente sfociano in atti terroristici: “Professiamo – afferma l’undicesimo punto della dichiarazione – che cattolici e musulmani sono chiamati a essere strumenti di amore e di armonia tra i credenti e per tutta l’umanità, rinunciando a qualsiasi oppressione, violenza aggressiva e atti terroristici, in particolare quelli perpetrati in nome della religione”. Parole, queste, che suonano insolite a chi quotidianamente ascolta di continui attentati di stampo religioso, nonostante i musulmani affermino più volte di respingere ogni danno fatto ai cristiani e da parte cristiana continuino ad arrivare toni concilianti nel tentativo di fare del mondo, come afferma il cardinale Turan, “non una giungla ma una famiglia”. L’impressione è che, per ora, si sia giunti a un accordo prevalentemente sul piano etico e della giustizia, piuttosto che su quello strettamente teologico, su cui rimangono differenze che attualmente appaiono insormontabili. Oggi c’è ancora una frattura: da un lato parole rassicuranti e buone intenzioni, come la volontà di approfondire questi temi in un altro incontro da organizzare in un Paese a maggioranza musulmana. Dall’altro la realtà dei fatti, tra cui le continue invocazioni di chi intende far sentire la propria voce per combattere contro le violazioni della libertà religiosa. È di questi giorni la notizia che un gruppo di 144 cristiani, tra cui 77 musulmani convertiti, ha lanciato un appello affinché non si dimentichino le minoranze cristiane e i neo-convertiti nei Paesi islamici. Tra le richieste dei firmatari che la legge islamica non si applichi ai non musulmani, che sia abolita la loro condizione di dimmi, cioè di cittadini di seconda classe, che la libertà di cambiare religione sia riconosciuta come diritto fondamentale. CHIARA DEL PRIORE(LUMSA NEWS)

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